giovedì 31 marzo 2011

TRE


Il cane Orco

Si era ormai abituato a quel pruriginoso collarino di pelle rossa.
Anche se, davvero, non sopportava il suono continuo, e dico continuo, di quella stupida, inutile, dannata campanella che i Padroni gli avevano simpaticamente attaccato.
Neanche a chiedere si erano sprecati, campanella attaccata e che risate con gli amici! Oh Oh, il cane è uscito in giardino, senti che scampanellio!
Ma lui, aveva risolto il problema nel migliore dei modi: si muoveva il meno possibile.
Pisciava e cagava dove capitava, di correre neanche la benché minima voglia, si grattava a malapena, stando bene attento a compiere ogni movimento con la massima lentezza.
Era in poco tempo, come si può immaginare, diventato una grossa palla di lardo, le lunghe orecchie marroni strisciavano per terra e la pancia tonda ormai era diventata un morbido cuscino appoggiato al pavimento.

La vita del cane Orco procedeva tranquilla, la classica esistenza da cani.
I Padroni avevano smesso da tempo di coccolarlo, di portarlo a spasso, di spazzolarlo, di grattarlo. Si limitavano a parlargli come fosse diventato a tutti gli effetti un membro della famiglia, gli davano il buongiorno e la buonanotte, gli raccontavano i loro problemi, gli facevano domande ben precise senza aspettarsi una risposta.
Mangiava due volte al giorno i loro avanzi e siccome la Padrona era sempre a dieta, mangiava parecchio. Dalle orecchiette al pesto alla torta con la panna, si sentiva come l'abitudinario di un ristorante a cinque stelle.
Ma col tempo, il cane Orco si era incattivito.
Era diventato un arrogante palla di lardo, sempre pronta ad abbaiare ma mai abbastanza coraggiosa da riuscire ad alzarsi. Avrebbe voluto mordere le caviglie del postino, magari inseguirlo lungo il vialetto di casa, ma no, si limitava ad ululare sempre con la stessa intensità.
Sono superiore io, alla massa comune di quei quadrupedi che ricorrono alla violenza per farsi rispettare. Io non mordo, ma abbaio, sono talmente forte che non devo abbassarmi al volgarissimo morso, all'antica pratica dell'affondo dei canini.

Il cane Orco si sentiva così, il re del quartiere.
Per età ed esperienza poteva essere riconosciuto come il più saggio tra i cani, se uno sbarbatello passava incauto davanti al suo giardino, il cane Orco gli piantava addosso gli occhi senza alzarsi, senza muoversi.
Abbaiava solo e soltanto se qualche intraprendente vicino di casa cercava di infilare il muso tra le sbarre del cancello o se liberava vescica e intestino davanti all'ingresso.
Si credeva temuto e rispettato, ma in realtà era diventato da tempo una barzelletta che non faceva neanche più ridere, sempre piantato sul pavimento del salotto, incapace di correre, troppo vigliacco per mordere, troppo stanco per saltare o rincorrere un gatto.

E ora, era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro con quel ragazzino dagli occhi curiosi, quel nuovo abitante della casa che mai avrebbe riconosciuto come Padrone.
Era arrivato il momento di abbaiare.

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